Alionza

Nel “Dizionario dei vitigni antichi minori italiani” si legge: “Vitigno bianco tipico del Bolognese e del Modenese di origine assai remota, probabilmente derivante dai paesi slavi (come starebbe a testimoniare il sinonimo di Uva schiava che gli viene attribuito nel Bolognese), viene citata a partire dal ‘500 anche con il nome di Alionga, Glionza e Leonza.

È una varietà in passato consumata anche come uva da tavola e diffusa anche nel Bresciano e nell’alto Mantovano. Predilige una potatura lunga, terreni sciolti e caldi di collina e mostra una media tolleranza all’oidio e alla botrite. Nota con i sinonimi di Aleonza, Glionza, Uva Lonza, Aglionga bianca del Bolognese.

Con il termine di “schiava” Pier de Crescenzi forse intendeva proprio l’Alionza, ma si tratta di un nome generico con cui si indicavano uve diverse di possibile provenienza dai paesi slavi. Gli Imolesi raccontano che Cesare Borgia, dopo aver assaggiato il vino di Alionza, ne inviò un paio di botticelle, sotto scorta armata, a Papa Alessandro VI.
Se così fosse, si potrebbe affermare, con buona approssimazione, che questa varietà era presente nelle province di Modena e Bologna già in epoca anteriore alla prima citazione storica del Tanara del 1644: “La Leonza, il Barbosino, …. con poch’acqua fanno Vino picciolo, & insipido”. Viene, poi, citata da Trinci all’inizio del Settecento; ne “L’agricoltore sperimentato” viene dedicato un capitoletto all’uva Lonza e sue qualità:

L’Uva Lonza è di qualità bianca; e maturata che sia perfettamente, diventa un poco picchettata di un colore simile alla ruggine, ma forse un poco più chiaro; comincia a maturare subito passata la metà d’Agosto; ne fa quasi sempre poca, di pigne spargole, di granella belle, grosse, tonde, e di guscio gentile. Fa i capi grossi di colore di marrone chiaro con gli occhi lontani uno dall’altro, e poco rilevati. Fa i pampani molto grandi, un poco vellutati dalla parte di sotto, rabescati, e intagliati profondamente, con le punte acute, col gambo lungo, grosso, e colorito gentilmente di vermiglio. Vuole il Clima caldo, esposto all’Aria di mezzo giorno, il suolo asciuttissimo, leggieroso, sottile, e atto a pigliare caldo, come quello che si è già descritto per l’uva Barbarosia. Fa il vino bianco di color di paglia, poco spiritoso, ma molto delicato, e odoroso; matura presto per le prime beve, è molto gradibile e gustoso a beversi solo; e mescolata questa con altre uve proprie in giusta quantità, fa buonissima composizione, particolarmente ne’ vini bianchi (Trinci, 1764).

vitigno-alionza

Verso la fine del XIX secolo Jemina inserisce questo vitigno tra le migliori uve da vino coltivate nel Bolognese e Modenese, unitamente all’Albana. Negli anni della ricostruzione post-fillosserica”, il prof. Nazari inserisce l’Alionza tra i principali vitigni dell’Emilia e Toni, nel 1927, annovera l’Alionza fra i vitigni che hanno contribuito al miglioramento della viticoltura Bolognese, tanto che è stata tenuta in una qualche considerazione anche dopo l’avvento della viticoltura specializzata.

Nel 1989 la varietà Alionza è sta iscritta al Registro Nazionale delle Varietà di Vite, ma il suo destino era ormai segnato e le superfici destinate a questo vitigno erano in calo continuo. Nel 2000 erano stati censiti 36 ettari di Alionza in Emilia-Romagna (43 ha in Italia), che al Censimento del 2010 erano già scesi a 7,19 ettari (10,59 ha in Italia), quindi siamo a livello di vitigno in via di estinzione.

In purezza fornisce un vino di colore giallo di media intensità con riflessi leggermente verdognoli, di aroma intenso, ampio e con note floreali.

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