E’ il più famoso e classico dei vini emiliani, da bersi giovane per antonomasia ma con origini antichissime. L’etimologia del nome è incerta, esistono principalmente due ipotesi al proposito. La prima vuole che il nome derivi da labrum (margine dei campi) e ruscum (pianta spontanea): la vite “la-brusca” sarebbe quella che cresce incolta ai margini dei campi.
Prima della vitis vinifera, labrusche o lambrusche erano chiamate le viti spontanee nate da seme, dette appunto viti selvatiche. La seconda attribuisce l’origine alla fusione dei termini labo (prendo) e ruscus (che punge il palato), da qui anche l’origine della parola “brusco”. Questa parola infatti, è identificativo di quella caratteristica tipica dei vini giovani, collegata ad una contenuta acidità e tannicità vivaci e gradevoli.
Virgilio, nativo del mantovano, altra preziosa zona di produzione attuale, parla dell’esistenza della vitis labrusca duemila anni fa, nella sua quinta bucolica; nel “Naturalis Historia” Plinio il Vecchio dice: “la vitis vinifera le cui foglie, come quelle della vite labrusca, diventano di colore sanguigno prima di cadere”.
Non sono certe le origini della coltivazione di questa vite ma in un trattato di agricoltura del 1305 il bolognese Pietro de’ Crescenzi, suggerisce di prendere in considerazione l’allevamento della vite labrusca. Nel 1567 Andrea Bacci, medico del papa Sisto V e botanico afferma che “sulle colline di fronte alla città di Modena si coltivano lambrusche, uve rosse, che danno vini speziati, odorosi, spumeggianti per auree bollicine, qualora si versino nei bicchieri”.
Nel 1867 Francesco Aggazzotti, prezioso descrittore anche dell’aceto balsamico, propone una prima suddivisione esauriente delle tre tipologie prevalenti dei vitigni coltivati: Il lambrusco della viola o di Sorbara, il lambrusco Salamino, il lambrusco dai Graspi Rossi dai quali si ricaveranno tutti i vari tipi di Lambrusco. Nella prima metà del Novecento il Lambrusco era un vino decisamente secco e la sua schiuma, proprio come per lo Champagne, era prodotta mediante una seconda fermentazione in bottiglia. Con l’avvento di nuove tecnologie nel campo vinicolo la produzione del Lambrusco aumentò notevolmente dai primi anni ’60, con l’introduzione del metodo Charmat. Così nel ventennio successivo il Lambrusco venne venduto notevolmente all’estero in particolar modo negli Stati Uniti dove ebbe molto successo tanto da rappresentare circa il 50% dei vini italiani importati in America.
Ma negli anni ’90 la produzione di Lambrusco ebbe una svolta dal punto di vista qualitativo, si tentò così di ritornare alle origini del lambrusco, più secco e consistente e meno dolce. Oggigiorno la maggior parte dei Lambrusco migliori non vengono ancora esportati e quelli venduti sui mercati esteri non sono DOC e solitamente di qualità mediocre.
I Lambruschi sono vini piacevolmente freschi e profumati, con aromi fruttati che vanno dai frutti di bosco ai piccoli frutti neri, ma anche lampone e fragoline, possono avere sentori di erbe aromatiche e mentolati e spesso il loro profumo regala note floreali di viola. Al palato sono caratterizzati da una grande freschezza e da una piacevole sapidità. Sono vini da bere giovani, vanno consumati nel giro di un anno, proprio per godere della loro gioventù di aromi. Si accompagnano perfettamente alla cucina tradizionale emiliana, ottimi con zamponi e cotechini ma anche con le paste ripiene e ben condite tipiche della regione ma sono ottimi anche serviti per un aperitivo in compagnia.
Lambrusco non è un termine generico che comprende l’intera produzione, ci sono cinque diverse varietà molto diverse l’una dalle altre.
Il Lambrusco di Sorbara si produce nell’omonima zona della provincia di Modena con un 60% di uve provenienti dal vitigno in questione, mentre per il restante 40% è concesso utilizzare le uve del Lambrusco Salamino. Questo accade perché nel Sorbara l’acino ha difficoltà a svilupparsi, cosa che si traduce in una produzione minore. Il colore del vino ottenuto è di colore rosato o rosso rubino chiaro, vivace e trasparente.
Il Lambrusco Grasparossa prende il nome dal colore rosso del rachide e dei pedicelli ed è molto diffuso nelle province di Modena e Mantova anche se il suo territorio di elezione è la zona nei dintorni di Castelvetro. Questo vitigno ha buona vigoria vegetativa, ed ha la particolare caratteristica che in autunno si arrossano non solo le foglie, ma anche raspo e pedicelli, fenomeno che contribuisce a creare le colorazioni particolarmente suggestive dei vitigni di queste zone all’epoca della vendemmia. Il vino ottenuto da queste uve è di un bel colore rubino sangue di piccione, compatto e poco trasparente.
Lambrusco Maestri: il nome sembra derivare dalla “Villa Maestri” che si trova nel comune di San Pancrazio in provincia di Parma. Questo vitigno è spesso vinificato in uvaggio con altre varietà di Lambrusco, ed è apprezzato per la sua capaictà di dare colore, tannicità e corpo al vino così ottenuto. Questi vini sono anche noti come “Lambruschi scuri” e sono caratteristici del Reggiano e del Parmense.
Lambrusco Marani: solo intorno al 1825, grazie ad Acerbi, si iniziò a fare una distinzione tra i vitigni derivati dalle viti selvatiche, e fu in questa occasione che per la prima volta venne menzionato il nome Marani.
Il Lambrusco Salamino di Santa Croce deve il suo nome all’omonima frazione del Comune di Carpi da cui questo vitigno si è poi diffuso in tutto il territorio della provincia di Modena ed in quelle confinanti, il suo nome deriva dalla forma serrata e cilindrica del grappolo che ricorda quella di un salame.
Il vitigno Lambrusco Viadanese è conosciuto anche come “Groppello Ruberti”, dal nome dell’enologo che lo decretò miglior vitigno della provincia. La sua diffusione è maggiormente localizzata nel Mantovano, nella zona delimitata dai fiumi Oglio e Po, ed è alla base dell’uvaggio della Doc Lambrusco Mantovano. Lo si ritrova anche nel Cremonese, oltre che nelle province di Reggio Emilia e Modena, anche se in misura minore.